giovedì 19 settembre 2013

È TEMPO SPRECATO UCCIDERE I MORTI

Amici e amiche di questo blog,
finalmente trovo un po' di tempo per aggiornare questo lido abbandonato, e parlare della mia ultima "fatica letteraria". Lo so, non è degno di un buon padrone di casa comunicare questa notizia su un blog personale un mese dopo l'uscito del libro, ma pazienza: meglio tardi che mai ;-)


È TEMPO SPRECATO UCCIDERE I MORTI


Una donna spietata che regge le fila di un impero criminale, uno psicopatico convinto di vivere all’interno di un album di Fabrizio De André, un bambino che uccide entrambi i genitori per troppo amore, un uomo mascherato che vigila per le strade di Napoli… 
Dodici racconti, dodici storie che oscillano tra il thriller e il noir. 
Dodici tagli nella pelle della quotidianità, serpeggianti in quel limbo oscuro sospeso tra tensione e mistero, in quel nero barlume di vita che è una porta aperta sulla follia.


«Diego ha talento. Scrive frasi taglienti come proiettili sparati ad altezza uomo. Il ritmo è cinematografico. Ogni racconto è una perla nera, incastonata nello scenario incantevole e claustrofobico di Procida, cittadina arrampicata su uno scoglio sospeso tra il mare e la tempesta. Gioca con la psicologia dei suoi personaggi, Diego, costruendo storie che spaventano e allo stesso tempo commuovono, perché profumano di vita vera.» 
(Barbara Baraldi) 

«Diego è un abile artefice di storie perché è anche un acuto osservatore che entra in ambienti e vite quotidiane disseppellendo amori, orrori, complicità e drammi.»
(Andrea Carlo Cappi)
 
«Il thriller ha molti sentieri, e Diego Di Dio li percorre tutti con passo sicuro.»
(Marzia Musneci) 


DOVE POTETE ACQUISTARE IL LIBRO?

Ebook (1,99 euro)

La versione digitale, a meno di una colazione, potete trovarla dappertutto:
- su Amazon
- su Ultima Books
- su Bookrepublic
- su Kobo
... e su qualunque altro store on-line.

Cartaceo (8,90 euro)
- Potete cercarlo o ordinarlo in qualsiasi libreria
- Potete ordinarlo su IBS (col 15% di sconto);
- Potete ordinarlo direttamente su Amazon (evasione in 3 giorni)
- Su Webster

Be', posso dirlo sinceramente, tanto non sono io l'autore: la copertina è una figata. Di questo dobbiamo ringraziare Saber Core, il copertinista indonesiano della Dunwich Edizioni, che ha un tocco davvero fantastico. Come avrete capito dalla presentazione, si tratta di una raccolta di racconti thriller/noir, un lavoro al quale sono molto legato perché raccoglie quasi cinque anni di scrittura, se consideriamo che il primo racconto è stato scritto nel 2008 e l'ultimo nel 2013. La prefazione, bellissima, è della grande Barbara Baraldi, mentre la postfazione è dell'iperattivo Andrea Carlo Cappi. Ringrazio anche la mondadoriana Marzia Musneci per aver speso belle parole nei confronti di questo libro.
Il volume è uscito da meno di un mese e già sono successe parecchie cose. Anzitutto, come primo passo verso il piccolo tour promozionale che intendo fare, c'è stata la presentazione procidana. Il 26 agosto, alla sala Pio XII della Fiera del Libro di Procida, l'avventura è cominciata nel migliore dei modi. La sala gremita, tutte le copie esaurite, una serata davvero magnifica. Per una descrizione più dettagliata dell'evento, potete leggere il Report sul sito della Dunwich Edizioni. Spero solo che questo sia il primo passo verso una stagione letteraria che, già da ora, si preannuncia fantastica.

Ovviamente aprirò, in questo blog, una pagina dedicata al libro, che verrà costantemente aggiornata con recensioni e segnalazioni. Per adesso mi limito a segnalarvi le cose più importanti.

1) Pagina Facebook: qui potrete trovare estratti del libro, aggiornamenti vari e foto dei lettori;

2) Il Flauto di Pan: magnifica recensione da parte di questo blog;

3) Intervista su Leggere e scrivere, per la quale ringrazio la gentile Rosalia Messina.

Che dire?
Buona lettura e a presto risentirci. Come dice il mio editore, "Daje!"

sabato 13 luglio 2013

PREMI, PIPISTRELLI E PECCATORI

Cari amici e care amiche del blog,
è da un po' che non aggiorno questa landa desolata.

Da un lato succede che, come diceva Joker: "Infinite cose da fare, e così poco tempo". Dall'altro, avrei così tante cose da dire, che alla fine non ne dico nessuna. Scherzo, qualcosina la dico.

Partiamo da una bella, bellissima notizia. 

È uscito il numero 36 della Writers Magazine Italia, che mi vede in copertina accanto al bravissimo Marcello Simoni, autore di best-seller che stanno spaccando un po' dappertutto. Ebbene sì, stavolta accanto al big c'è il sottoscritto perché, come potete leggere su forum della WMI, a questa discussione, quei vulcani dello staff hanno introdotto un ulteriore "premio" per il vincitore del concorso WMI: apparire in copertina, per dare maggiore risalto al vincitore del premio.
Stavolta è toccato a me, con un racconto al quale tengo in maniera particolare: C'è ancora tempo. Un racconto anomalo, diverso dal mio solito: non è un thriller né un horror, ma una storia d'amore e di viaggi nel tempo (o del tempo? Lo scoprirete solo leggendolo, parafrasando Battisti). Una bella soddisfazione, anche perché francamente non me l'aspettavo. Quando l'ho riletto, ero convinto che nessuno lo capisse: troppo complesso, troppo astruso, mi dicevo. E invece i fatti mi hanno smentito.
A proposito, se qualcuno fosse interessato alla rivista, vi ricordo che potete acquistarla QUI: all'interno troverete tanti altri bei racconti, interviste, recensioni e consigli sulla scrittura. Vi conviene non farvela scappare.

Bene, la parte dedicata ai piccoli successi del sottoscritto è finita, direi.
Passiamo ad altro.

Chi mi conosce sa quanto io sia legato al mondo dei fumetti. 
Se dovessi fare un elenco, davvero non saprei da dove cominciare. Adoro la complessità di Dylan Dog, le suggestioni di Brendon, la solarità di Julia, la spietatezza di Diabolik, le tirchieria di Zio Paperone, le avventure di Paperinik, le acrobazie dell'Uomo Ragno, i poteri di Superman, i personaggi sadici di Sin City, e potrei continuare all'infinito. Non amo i fumetti di un solo genere o di un solo editore, ma cerco di leggere di tutto. Per dire, ultimamente mi sono appassionato a Zerocalcare, che presumo molti di voi conosceranno.
Il mio intento, però, è quello di dedicare questo intervento a Batman. Negli ultimi mesi, tra le varie cose, mi è capitato di leggere tre albi dell'Uomo Pipistrello: tre storie che affrontano con stili e idee diverse il mondo del vigilante di Gotham City.

Partiamo da Preda. 
Si tratta di una delle più belle avventure del Cavaliere Oscuro, riproposta in una edizione cartonata davvero prestigiosa.
I testi sono di Doug Moench, i disegni di Paul Gulacy e, in verità, l'albo si divide in due sottotrame: "Preda" e "Terrore" (il naturale sequel della prima). Volendo collocare la vicenda nella continuity batmaniana, possiamo dire che le storie narrate si collocano poco dopo Batman: anno uno, il capolavoro di Frank Miller che ha riscritto le origini del giustiziere incappucciato. L'uomo pipistrello, in questa storia, è ancora poco conosciuto: la polizia stessa lo teme e gli dà la caccia. L'unico disposto a riporre fiducia nel supereroe è il fedelissimo commissario Gordon che, tra alti e bassi, non lo abbandonderà mai.
In questa avventura, l'eroe dovrà scontrarsi con il perfido dottor Hugo Strange e con il rinato Spaventapasseri. Un duo davvero micidiale, soprattutto se si considera che si tratta di due esperti della psiche umana. La guerra, per il nostro beneamato, sarà più mentale che fisica, e sarà funestata anche dalle graffiatine moleste della sensuale Catwoman.

Il secondo albo che ho letto si intitola Joker.
La storia è stata scritta dal bravo Brian Azzarello, e i disegni (davvero stupendi) sono di Lee Bermejo. La trama è piuttosto lineare: il Joker, non si sa bene perché, è stato rilasciato dal manicomio di Arkham. Tornato in una Gotham City che si è quasi dimenticata di lui, scatenerà una guerra contro tutto e tutti, allo scopo di rinconquistare il potere perduto. In questa novella comprariranno altri famosi villain, come il Pinguino e Due Facce. Il fumetto, tutto sommato, è buono. L'intento è quello di scandagliare la psicologia smisurata di questo burlone psicopatico, per farci entrare nel vortice di devastazione e follia di una mente sul baratro. La mission è lodevole anche se, devo ammettere, la storia non decolla mai sul serio. Azzarello sarebbe potuto scendere molto più in profondità, avrebbe potuto scrivere una graphic novel di ben altro spessore, ma forse non era questo il suo scopo primigenio. Il fumetto si mantiene su un livello medio, senza spiccare mai il balzo. Quello che resta è una storia gradevole, fatta di violenza e follia, un dramma che si consuma in una città divorata dal crimine e dalla corruzione, il ritratto di un Joker realistico e profondamente solo.

Concludiamo con il capolavoro, Batman: Arkham Asylum
Scritta da Grant Morrison e illustrata da Dave McKean, la graphic novel risale al 1989 ed è uno dei capisaldi della letteratura riguardante Batman. La storia in breve: i pazienti del manicomio di Arkham si sono impadroniti dell'edificio e, tenendo in ostaggio lo staff ospedaliero, hanno una sola richiesta: che Batman accetti di incontrarli. L'uomo pipistrello, da solo, entra nella casa dei matti, dove il Joker fa da direttore d'orchestra a una danza di sfrenata follia. La trama, di per sé, conta poco: il viaggio è tutto psicologico. È Batman che affronta le sue nemesi, in un percorso catartico che lo porterà ad affrontare se stesso e le proprie paure, a scendere indifeso nel baratro del proprio agire, ponendosi domande alle quali non troverà risposte. La storia si alterna con i diari del dottor Amadeus Arkham, il fondatore del manicomio: dalle pagine emergono le tragedie che hanno minato la sua sanità mentale, come l'uccisione della madre (perseguitata da un enorme pipistrello) e il brutale assassinio della moglie e della sorella.
Batman: Arkham Asylum non è un fumetto semplice e non è un fumetto per tutti: è più un'opera d'arte, che non un albo da intrattenimento. Le illustrazioni di Dave McKean sono quadri surreali in cui le citazioni e i riferimenti non si contano più, e quello dell'uomo pipistrello non è più una battaglia fisica, ma una fuga dalla propria irrazionalità, un viaggio di salvezza che, dagli abissi dei propri lati oscuri, lo porterà a scappare verso la libertà.


mercoledì 8 maggio 2013

MARZIA MUSNECI: LA SIGNORA IN GIALLO MONDADORI

Sembra che abbia scritto da sempre.
Sembra che, da autrice navigata e maliziosa, abbia da sempre pubblicato libri Mondadori, che fanno capolino in migliaia di copie dalle edicole di tutta Italia.
Sembra che la tastiera - una volta avremmo detto la penna - sia un prolungamento del suo corpo.
Eppure non è così.
Si trova sul mercato solo da qualche anno, eppure pare che sia questo il suo elemento naturale.
Marzia Musneci.

Premessa.
Sono un acquirente di libri ossessivo-compulsivo: ne compro molti di più di quanti non ne riesca a leggere. Questo implica che, avendo una coda di lettura praticamente infinita, leggo i libri con notevole ritardo. Non a caso, ho letto "Doppia indagine" della Musneci - pubblicato nel 2011 - solo qualche mese fa. A due anni dall'uscita. Il vantaggio, però, è stato quello di poter leggere i due romanzi di cui voglio parlarvi uno di seguito all'altro, senza interruzione. L'immersione nel mondo da lei plasmato è stata breve, essendo durata poco meno di un mese. Ma così intensa e bruciante, da imprimere sulla pelle quella sensazione di familiarità e simpatia che riescono a trasmetterti solo certi libri. Non libri belli, non libri perfetti, non libri avvincenti. 
Libri veri.

Partiamo dall'inizio.
A parte qualche pubblicazione per strada, e l'indomabile passione per gli haiku, Marzia Musneci emette il suo primo, potente vagito nel mondo della narrativa nazionale con il libro "Doppia indagine", che si aggiudica il premio Alberto Tedeschi 2011.
La storia parte da una scomparsa: quella della piccola Stella Morganti. Nonostante le ricerche e gli appelli, nessuno riesce a trovare uno straccio di indizio. La patata bollente, presto, passa nelle mani del nostro protagonista, l'investigatore privato Matteo Montesi. Sarà lui a disseppellire legami là dove sembra non ce ne siano, e a trovare fili conduttori tra la scomparsa della piccola e quella di suo padre, risalente a dieci anni prima.
Spulciando le recensioni in giro per internet, mi sono imbattuto in alcuni comuni denominatori, che senz'altro posso condividere. "Doppia indagine" si colloca nel filone del giallo-simpatico: una trama avvincente e ben costruita che ruota attorno a un protagonista da cui è arduo non restare affascinati. Simpatico, intelligente, astuto, battuta pronta, ex attore e attuale traduttore, mezzo perdente e mezzo vincente, tipo spigliato e sportivo, salutista e amabile. Insomma, un coacervo di caratteristiche in cui si sposano tradizione e innovazione, che rendono questo Matteo Montesi (MM, come l'autrice) indimenticabile. Altra cosa su cui concordo è l'apprezzamento per la costruzione gialla: oggi, che vanno tanto di moda il noir, il thriller e l'hardboiled, scrivere un giallo lineare e coerente sembra quasi anacronistico. Eppure è una sfida che l'autrice vince in pieno, costruendo una storia che non ha lacune, che non fa acqua e che ci porta sani e salvi a destinazione.
Ma faremmo un torto al libro e all'autrice se dimenticassimo di parlare di un altro personaggio: la bella agente di polizia Cristiana Perla. Donna professionale e indisponente, ma anche tenera e bisognosa di premure. Facile capire, già da queste poche battute, che tra il protagonista e la Perla nascerà qualcosa.
Come anticipavo all'inizio, sembra che la Musneci non abbia fatto altro che scrivere, nella sua vita.
Da questo libro emergono, oltre al talento e alla tecnica, anche tanta esperienza, e quel briciolo di malizia narrativa che può permettersi solo un autore navigato. Un autore che, forte di anni di scrittura, ci tira tra le pagine mormorandoci: "Seguimi, non preoccuparti. Adesso ci penserò io a te."

A due anni di distanza dalla prestigiosa vittoria Tedeschi, arriva il sequel: Lune di sangue. Stavolta Matteo Montesi deve occuparsi di un caso apparentemente semplice: ritrovare un quadro che ritrae la "donna più bella del mondo", su incarico della sfuggente Arianna Caldoni.
Ma quando, in una grotta sul lago ai Castelli Romani, viene trovato il cadavere di un uomo con le mani mozzate, il lettore capisce che il caso non sarà così semplice. La storia viene innestata su uno sfondo sui generis: strani riti che si consumano nell'oscurità, sette curiose che organizzano incontri e celebrazioni da far accapponare la pelle e, se non bastasse, anche un clan che detta legge su prostituzione, droga ed estorsione.

A livello di trama, forse, la mia preferenza pende leggermente per "Doppia indagine". La storia risulta più familiare, più vicina alle aspettative del lettore medio, più consona ai miei standard. Sotto il profilo della tecnica e della prosa, però, devo ammettere che il secondo romanzo rischia qualcosa in più. Ho trovato passaggi bellissimi, in questo libro. Picchi narrativi che mi hanno fatto venire i brividi. Un esempio?

Ci alziamo lentamente, combattendo la nausea. Raggiungiamo il letto percorrendo una stanza che non vuole stare ferma.
Arianna non si accorge di noi, continua a fissare quei fantocci in terra.
Cristiana si siede sul letto, la abbraccia stretta, assecondando il movimento compulsivo.
Lei lascia fare.
Io abbraccio tutte e due.

È così che ci trova Santarelli.
Muti, stretti, a cullarci contro l'orrore.

Bello, vero?
A questo punto occorre specificare una cosa. In realtà Doppia indagine non è il primo romanzo con protagonista Matteo Montesi. La Musneci, infatti, lo aveva già fatto esordire nel 2008, con il romanzo Nessuno al suo posto (La Riflessione). Per chi volesse avere una visione più compiuta del nostro simpatico MM, e magari risalire al suo primo caso "letterario", leggere questo libro non sarebbe male.

In definitiva, posso dire che il giallo italiano non è mai stato così vitale come negli ultimi anni.
Mi piacerebbe menzionare un altro recente vincitore del premio Alberto Tedeschi, che ho intervistato proprio sulle pagine di questo blog:: Carlo Parri, con il suo grande Cardosa.
Carlo Parri e Marzia Musneci: due vincitori uscenti del più prestigioso premio italiano per romanzi gialli. Due penne, affilate e sapienti, che dimostrano come la narrativa di genere italiana, lungi dall'aver dato ciò che doveva al mondo della letteratura, abbia ancora molto da dire.

domenica 24 marzo 2013

CONDANNATI A MORTE


È uscito!
Cari frequentatori del blog, volevo condividere con voi questa bella notizia: è uscito il mio primo ebook, Condannati a morte. Si tratta di un thriller sovrannaturale pubblicato da Milano Nera Web Press, e di questo ringrazio Paolo Roversi che ha creduto nel racconto.
Eccovi la sinossi...

CONDANNATI A MORTE
Massimo è un assassino, un killer sadico che passa le notti a uccidere anziani.
Andrea è un traditore, uomo senza scrupoli che progetta di assassinare la moglie per ereditarne il patrimonio.
Tonino è uno spacciatore, che sta per concludere un affare destinato a portare sull’isola un nuovo tipo di droga.
L’assassino, il traditore e lo spacciatore: tre angeli neri che diffondono il male nei vicoli bui di una Procida gotica. Tre mostri che ignorano di essere solo pedine di un gioco, pezzi di un piano orchestrato dalla mente implacabile della figura con falce e mantello, la signora che non perdona: la Morte.



Potete trovarlo qui:
- Amazon, in formato Kindle. Acquistalo a 3.07 euro.
- Bookrepublic, in formato Epub. Acquistalo a 2.99 euro. 
- Ultima Books, in formato Epub. Acquistalo a 2.99 euro.

Nel frattempo, se volete dare una sbirciatina, ecco un piccolo estratto:



Il sogno. Sempre lo stesso.
La sua terza vittima. Sempre quella, quasi ogni notte, ma Massimo deve ancora capirne il perché. L’immagine è imbevuta di una nebbia ovattata. Eppure è chiara, nitida. Soprattutto, fedele. Il vecchio è adagiato sulla poltrona, una sigaretta stretta tra le dita, e la bocca disposta a O, a lanciare in aria cerchietti di fumo.
È stato l’unico a morire da sveglio.
Si è accorto di lui troppo tardi, e infatti non ha avuto il tempo di reagire. «Pe… perché?» è riuscito a mugugnare, prima di essere trafitto.
Massimo non avrebbe mai immaginato che quella scena gli sarebbe tornata in mente come una nenia.
Quel vecchio aveva qualcosa di strano. Gli occhi, forse. Così sereni. Oppure quel modo di fumare.
«Perché?»


Massimo si accorge di stare quasi ansimando. Ormai la voglia è incontenibile, i suoi occhi si prefigurano l’apice di un piacere malato, irrinunciabile, reiterato. Ne ha già uccisi quattro, da quando vive sull’isola. E non ha alcuna intenzione di smettere.


     In questo momento lo capisce.
Non è vero quello che continua a ripetersi da tempo. La sua non è una malattia insorta solo da qualche anno.
Lui è nato così.
Ha coltivato i germi osceni del sadismo sin da quando era piccolo. Lo ricorda bene: ai funerali, di fronte alle salme fredde di parenti morti, avvertiva, sordido dentro di lui, qualcosa.
Una sorta di piacere, di soddisfazione necrofila, di desiderio illibato al quale non riusciva a trovare un’origine, una natura, uno scopo. Lì, di fronte ai corpi degli anziani morti, le sue mani non tremavano spaventate, ma si toccavano l’un l’altra, a cercarsi a vicenda, a scaldarsi.
Massimo è nato mostro. 
Adesso lo sa. 


(Diego Di Dio, Condannati a morte

lunedì 11 marzo 2013

I ROMANZI STORICI DI FRANCO FORTE

Franco Forte.
Negli ambienti editoriali c'è grande mistero attorno a questo nome. Alcuni sostengono che si tratti solo di un infaticabile lavoratore, ma pur sempre umano.
La maggioranza, però, ha opinioni più bizzarre. Per esempio, c'è chi pensa che si tratti di un essere mitologico, mezzo uomo e mezzo libro, uscito fuori da qualche innesto genetico. Chi, in chiave molto più prosaica, ritiene si tratti di un collettivo, e che sotto l'egida di Franco Forte si nasconda un gruppo di editor, scrittori, consulenti editoriali e faccendieri di ogni sorta. Chi, infine, sostiene che Franco Forte sia in realtà Francoforte, ossia l'intera popolazione della città tedesca.
Molte sono le teorie, e alcune nemmeno tanto astruse: basti leggere le qualifiche di questa persona. C'è da andare ai pazzi.
Direttore editoriale delle collane da edicola Mondadori, direttore editoriale della Delos Books, editor, consulente editoriale, direttore di riviste letterarie (come la Writers Magazine Italia, Romance Magazine, etc), traduttore, sceneggiatore e, ultimo ma non meno importante, autore di romanzi best-seller per la Mondadori.

Teorie a parte, gli scrittori esordienti come me conoscono bene Franco Forte. Tante sono le cose che ho imparato sul forum della WMI e altrettante grazie alla rivista Writers Magazine Italia. Parte del mio percorso di autore e collaboratore editoriale lo devo anche, e soprattutto, al collettivo creato da lui e dal suo staff. Numerosi sono i racconti e gli articoli che mi ha pubblicato come editore e, per adesso, è da accreditare a lui la mia più grande soddisfazione letteraria: la pubblicazione de I dodici apostoli sul Giallo Mondadori.
Ma in questo post non intendo parlare di lui come editor/editore, ma come scrittore. E, di conseguenza, godere di quel "piccolo strapotere" di cui il lettore usufruisce nei confronti di un autore.

Per adesso, ho letto tre libri del boss (noi lo chiamiamo così), e intendo recensirli secondo la mia personale classifica di gradimento.

I BASTIONI DEL CORAGGIO 
Ducato di Milano, 1548. La dominazione spagnola sta devastando la città e si respira un clima di violenza e disperazione. Ci sono molti personaggi degni d'interesse, in questo romanzo: Ludovico de Valois, feroce vicario del Capitano di Giustizia;  Mariangela Comencini, sulla quale pende un'accusa di stregoneria; l'inquisitore Guaraldo Giussani (che, in qualche tratto del suo carattere, ricorda il Waleran Bigod de I pilastri della terra); la giovane e bella Anita Polidori (che ritornerà ne Il segno dell'untore) e infine il protagonista, Fulvio Alciati, coraggioso cavaliere di ventura.
La bellezza di questo romanzo risiede nella sua struttura corale: benché Fulvio Alciati sia il personaggio principale, non c'è un vero protagonista, che monopolizzi in toto l'attenzione del lettore. Al contrario, l'autore ha costruito un ginepraio di figure dettagliate, passando dall'una all'altra in una continua altalena. Personalmente, adoro le storie strutturate in questo modo, perché costruire un intero romanzo attorno a un unico personaggio può essere molto rischioso, se questi non ha le qualità o l'originalità per reggere la storia. La ricostruzione storica è molto dettagliata, a volte anche troppo; ma questo è il cavallo di battaglia dello scrittore, comune denominatore di molti dei suoi libri. 
Tra quelli che ho letto, questo romanzo resta il mio preferito: per credibilità dei personaggi e dovizia di particolari, per un'ambientazione disegnata col compasso e un'alternarsi di vicende al cardiopalma. Leggendo, sembra di essere lì, in una città divorata dalle malattie e dall'inquisizione, dove la disperazione e il fatalismo sembrano le uniche scelte possibili, in un inferno in terra che non dà tregua. 
Primo classificato.


ROMA IN FIAMME
Dalla Milano del XVI secolo passiamo all'antica Roma. Le intenzioni dell'autore sono già palesi a partire dal sottotitolo: Nerone, principe di splendore e perdizione.

È infatti l'imperatore romano che regnò per quasi quattordici anni a costituire il centro nevralgico di questo romanzo. C'è poco da fare: quando a reggere le fila della storia è un personaggio complesso  come Nerone, un uomo divorato dalle contraddizioni e in eterna lotta contro se stesso e gli altri, è difficile non restare abbacinanti dalla sua luce.
Anche in questo romanzo ci sono molti personaggi ben tratteggiati: basti pensare alla bella e disinibita Atte, una delle amanti di Nerone; o ad Agrippina, la madre dell'imperatore, regina di furbizia e cospirazioni politiche. Molti sono i comprimari che si conquistano qualche pagina di questo libro, ma ognuno di essi, per quanto ben delineato, è coperto dall'ombra di Nerone. Ed è qui, in questa scelta, che risiede l'originalità del romanzo. Attingendo a nuove fonti storiografiche, l'autore fa rivivere l'imperatore restituendogli una nuova dignità, una nuova intelligenza. Le pagine riportano in auge un personaggio che il pensiero collettivo aveva degradato a pazzo sanguinario o a megalomane psicopatico. Niente di tutto questo. 
Immergendosi in queste parole che grondano storia, passeggiando tra intrighi di palazzo e riti sessuali senza fine, si ha quasi l'impressione che Nerone, benché egocentrico e perfezionista, sia l'unico sano di mente, in un girone di anime depravate e assetate di potere. La scelta dell'autore, inutile negarlo, è coraggiosa: rivoluzionare la figura di Nerone, distruggendo i dogmi che per anni hanno ossessionato l'opinione collettiva. Come detto per il romanzo precedente, anche qui la riscotruzione storica è dettagliatissima (a volte anche troppo) e le pagine filano via velocemente. Non ci sono le trame e le sottotrame de I bastioni del coraggio e non c'è l'intrigo giallo de Il segno dell'untore: qui c'è Storia, c'è vita dell'antica Roma, ci sono congiure politiche e orge sfrenate, sogni di grandezza e fiamme che divorano il mondo. E soprattutto c'è lui, Nerone, che svetta sopra ogni altra cosa come un dio sceso in terra.
Secondo classificato.

IL SEGNO DELL'UNTORE
Dall'antica Roma di Nerone ritorniamo alla Milano del XVI secolo (qualche decennio dopo I bastioni del coraggio). Qui ritroviamo alcune figure a noi note: l'inquisitore Guaraldo Giusanni ma, soprattutto, Anita Polidori, un personaggio al quale ci eravamo molto affezionati. È lei, infatti, la moglie del protagonista, Niccolò Taverna. Taverna è un notaio criminale che si aggira nei dedali di una Milano messa in ginocchio: dalla povertà, dalla peste bubbonica, dall'inquisizione, da giochi di potere che lasciano spiazzati. È quasi un clima apocalittico quello che trasuda dalle pagine: i miasmi emanati dai fopponi e l'aria pestilenziale che ammorba Milano assumono vita propria. In questa sublimazione di sconforto e caos, Niccolò Taverna dovrà risolvere due casi: l'omicidio di Bernardino da Savona, commissario della Santa Inquisizione, e il furto del candelabro del Cellini, trafugato dal Duomo di Milano. Due indagini apparentemente sconnesse, che tuttavia paleseranno un legame con il prosieguo della storia.
Il segno dell'untore è un thriller storico: la trama gialla è calata in un'ambientazione cinquecentesca, sempre accurata e studiata (ma in questo caso sembra che l'autore abbia dosato ancora meglio le nozioni storiche). Se dovessi giudicare questo romanzo in termini obiettivi, affidandomi a una sorta di tabella di valutazione, dovrei dargli la medaglia d'oro. Dipanare un plot così complesso, su uno sfondo studiato al microscopio, è una missione che solo uno scrittore navigato può compiere: non a caso, Il segno dell'untore si è aggiudicato il premio Fiuggi Storia 2012. Tuttavia, in questa classifica mi sono fatto guidare da gusti personalissimi e opinabili, che mi portano a collocare questo libro, per la qualità della scrittura e le emozioni regalatemi, sullo stesso piano di Roma in fiamme.
Secondo classificato: ex aequo.

La scrittura di Franco Forte presenta due caratteristiche: è raffinata ed è costante. Anzitutto, le scelte sintattiche e lo stile narrativo tradiscono una ponderata scelta di termini, che a tratti sfocia nella poesia. In secondo luogo, la storia non subisce mai un calo qualitativo: le parole sanno mantenersi sempre sullo stesso livello. Alla luce della mia lunga carriera da lettore, ritengo che questa caratteristica sia frutto non solo di talento, ma anche di esperienza: saper dosare la penna per dare equilibrio a centinaia di pagine è un'opera che esige, sopra ogni altra cosa, consapevolezza. Lo ammetto, all'appello manca ancora qualche libro: dal comodino mi scrutano minacciosi due romanzi pubblicati nella collana Segretissimo Mondadori (gentile omaggio dell'autore) e, soprattutto, Carthago, che secondo molti sarebbe il miglior libro di Franco Forte.
In attesa di colmare questa lacuna, mi sento in dovere di fare due cose. Primo, apprezzare lo scrittore. Secondo, stimare l'uomo. Per chi, come me, aspira a intraprendere la carriera editoriale; per chi, come me, coltiva il desiderio di vivere tra pagine, parole e manoscritti; per chi, come me, sogna di sublimarsi tra scritti propri e altrui, vivendo di storie, di avventure, di fantasia, Franco Forte rappreseta indubbiamente un esempio, un paradigma del self-made man che, in un ambiente ostico come quello editoriale, riesce a dare un afflato di speranza a noi, lettori, scrittori, sognatori.

martedì 26 febbraio 2013

GIOVANNI MASSA SU CHI HA VOTATO BERLUSCONI: "STAVOLTA NON VI SCUSO"

So che non c'entra con il tenore del mio blog, ma mi sento così vicino a chi ha scritto questo intervento, che non posso fare altro che condividerlo.

"1030,81 euro (fonte Corriere della Sera). Questo è il massimo pagato in Italia, a Portofino, per l'IMU sulla prima casa. In media si è pagato 330 euro.
 Bene, caro elettore di B. ti chiederei per favore di andare in un negozio e, se vivi a Portofino di ordinare un Iphone 5, se vivi altrove compra un paio di scarpe firmate (non sono forse l'eccellenza del Made in Italy?).
Poi torna a casa e dì a tuo figlio: "Ecco qua, grazie al mio voto ora ho un paio di scarpe nuove, sai per averle ho venduto il tuo futuro"

Già, perchè è questo che hai fatto. Hai svenduto i tuoi figli per un paio di scarpe.

Questa volta non mi trattengo, non mi venite a parlare di moralismo o di saccenza o di presunzione. Quanto è accaduto è un dato di fatto, milioni di persone hanno votato chi gli ha promesso 330 euro. Questa volta il rispetto per l'elettore che la pensa diversamente da me non riesco a metterlo in pratica. Starò forse scendendo a un livello più basso ma per una volta non me ne importa. Caro elettore di B. il solo motivo per cui tu lo hai votato è per quei 330 euro. Non te ne frega niente degli ospedali, della scuola, del ruolo dell'Italia nel mondo.

TU, te ne freghi.

Non mi venire a parlare di uomo del fare e di riforme liberali, in 20 anni hai visto nulla?

No. Ora non avevi più scuse né motivi. Eppure lo hai votato lo stesso.

Pazienza se il mondo ci ride in faccia (espressione già usata qui da due stranieri riguardo le elezioni nel mio Paese), tu hai i tuoi 330 euro e vivi felice. Per questo mese eh, perchè tra due mesi sarai lì a dire che i politici sono tutti ladri che il nostro Paese fa schifo, che tutti sono furbi, che la prossima volta... La prossima volta ti dimenticherai di tutto e voterai per i prossimi 330 euro. Perchè è questo che ti interessa, niente di più."
(Giovanni Massa)  

sabato 23 febbraio 2013

LA STORIA INFINITA


Cominciamo con il romanzo.
"La storia infinita”, di Michael Ende, viene pubblicato per la prima volta nel 1979.
È difficile recensire un libro del genere. È difficile per vari motivi. Primo, ha avuto un successo clamoroso. Secondo, ha dato origine a una trilogia cinematografica ben conosciuta (peraltro, solo parzialmente ispirata al romanzo). Terzo, dai più il libro è considerato un capolavoro.

Partiamo dalla storia, anche se grossomodo la conosciamo tutti. Bastiano Baldassarre Bucci è un ragazzo grassoccio ed emarginato. La sua vita è triste, soprattutto a causa della drammatica situazione familiare: la madre è morta, e col padre il rapporto è tutt'altro che sereno.
Un giorno Bastiano entra nella libreria dello scorbutico signor Coriandoli. Senza farsi vedere, ruba il libro “La storia infinita” e corre a scuola. Si rifugia in soffitta e comincia a leggere.
Nel libro si parla di un mondo, Fantàsia, in estremo pericolo: c’è un male oscuro (il Nulla) che lo sta divorando, male strettamente legato a un altro male, quello che sta uccidendo la reggente di Fantàsia, l’Infanta Imperatrice. 
L’unica possibilità di salvezza è riposta nel giovane Atreiu, il solo che possa sconfiggere il Nulla e quindi salvare il suo mondo. Proseguendo nella lettura, però, Bastiano si rende conto che c’è qualcosa di strano nel libro: a tratti, sembra parlare proprio di lui. Sarà lui, infatti, la vera chiave di volta della storia, l’unico in grado di strappare Fantàsia dalle propaggini di questa calamità.

Lati positivi. Alcune idee, contenute in questo libro, sono geniali. A partire dalla struttura. Anzitutto, ogni capitolo è numerato sia con cifre romane che con le lettere (26) dell’alfabeto tedesco. Poi, nella sua versione originale, il libro era stampato in due colori: uno per il mondo reale, l’altro per il mondo di Fantàsia. Ma questa caratteristica, purtroppo, è andata persa con le edizioni successive. Inoltre, questo romanzo è un meta-meta-libro. Infatti, “La storia infinita” è, rispettivamente, il titolo del libro (che noi leggiamo), il titolo del romanzo rubato (che Bastiano legge) e il titolo del libro del Vecchio della Montagna Vagante, una sorta di memoria storica di Fantàsia, che scrive un libro identico a quello di Ende.

“La storia infinita” ha, poi, un’altra caratteristica: è un romanzo di formazione. Il protagonista-lettore diventa protagonista-personaggio della storia da lui letta. Attraverso varie fasi – timidezza, coraggio, delirio di onnipotenza e infine saggezza – Bastiano cresce all’interno del libro, trovando poco alla volta il suo vero io. Ci sono, a mio avviso, alcune intuizioni dell’autore di un’originalità tale da fare accapponare la pelle. Basti pensare alle basi sulle quasi si regge l’esistenza stessa di Fantàsia: i sogni dimenticati degli uomini.

Apprezzabile è anche il concetto di desiderio: quando Bastiano entra nella storia, si tramuta in una sorta di signore onnipotente, nel senso che ogni cosa da lui desiderata si realizza. Ma non in modo così semplice:  ogni storia da lui plasmata, nel momento in cui viene desiderata, è già da sempre esistita. Poi, per ogni elemento che si aggiunge (un desiderio) ci deve essere un elemento che si toglie (un ricordo).
In sintesi, alle fondamenta del romanzo ci sono idee e intuizioni da trenta e lode.
Ma a fronte di tutto questo, almeno per me, risaltano un po’ di aspetti negativi. Primo, non ho apprezzato molto lo stile: ridondante, lento, descrittivo oltre ogni misura. Intere pagine fitte di descrizioni e orpelli inutili, monoblocchi di parole che scoraggerebbero molti lettori. Secondo: la lunghezza. Questo libro, dopo un po’, stanca. Sì, è zeppo di belle idee, ma sarebbe potuto finire duecento pagine prima. A un certo punto, il moltiplicarsi di esseri bizzarri e creature mostruose, di ambientazioni fantastiche e avventure occulte, diventa estenuante. La fantasia dell’autore corre a ruota libera, sembra un treno fuori giri che spesso perde di vista la destinazione.
Insomma, mi è piaciuto “La storia infinita”? Sì e no. Forse, se l’avessi letto da adolescente, l’avrei apprezzato di più. Tant’è che l’ho trovato, da un lato, originale e ingegnoso, dall’altro lento e pesante. Tuttavia, è una lettura che consiglio.



Passiamo al film.
Come ha giustamente detto il mio amico Andrea Franco, se cinque su dieci hanno letto il libro "La storia infinita", dieci su dieci hanno visto il film. La pellicola risale al 1984, per la regia di Wolfgang Petersen. Chi è della mia generazione, ma forse anche della precedente, serba un ricordo indelebile di questo film. Un ricordo imbevuto di mistero e poesia, che avvolge come una melassa idiliacca le immagini che sbiadiscono nel tempo. Rivedere "La storia infinita" adesso, quando l'adolescenza è solo un ricordo, non ne mette in evidenza l'ingenuità, quanto, al contrario, la bellezza.
Il guerriero Atreiu viene interpretato dal giovane Noah Hathaway, che riceve un Saturn Award come miglior attore emergente, mentre un Barret Oliver molto coinvolgente nella parte del protagonista riceve una nomination come miglior attore giovane agli Young Artist Award del 1985. Al di là delle interpretazioni personali, è il film che riceve un'ottima risposta, sia di pubblico che di critica.
Nonostante la furibonda reazione iniziale di Michael Ende, il mio parere personale è che il film sia di tutto rispetto, in molti punti addirittura superiore al libro. Sì, perché quelli che nel romanzo sono concetti dilatati e portati all'estremo, spalmati su pagine e pagine di vicende talvolta farraginose, nel film sono concentrati in modo lucido e sapiente.

Non va dimenticato un particolare.
Il film "La storia infinita" (1984) traspone sul grande schermo solo una parte del libro omonimo. Quantificando: poco meno della metà. Ma molti dei concetti espressi sono i medesimi, anche se alcune vicende hanno subito delle metamorfosi. Per esempio, il Vecchio della Montagna Vagante qui manca del tutto, e sarà presentato solo nel terzo film. Al di là di questo, non si può negare che, forse, gli occhi dell'adolescente di oggi, smaliziato dalle scenografie mirabolanti de "Il signore degli anelli" e dalle invenzioni originalissime alla "Harry Potter", possano guardare con un pizzico di sufficienza a una pellicola del genere.
La scena in cui Atreiu incontra Mork (una sorta di lupo mannaro) può far affiorare alle labbra un sorriso indulgente: che si tratti di un pupazzo, nemmeno fatto tanto bene, è palese.
Ma il sorriso scompare, non appena si presta attenzione a quello che il lupo ha da dire. Quando il giovane guerriero gli chiede dove possa trovare i confini di Fantàsia, la belva spiega che il loro mondo non può avere confini.

"Fantàsia è il mondo della fantasia umana. Ogni suo elemento, ogni sua creatura scaturisce dai sogni dell'umanità. Quindi Fantàsia non può avere confini".

Ma l'apice del concettualismo lo si raggiunge poco dopo, quando Mork (che peraltro nel film si chiama Gmork) spiega cos'è il Nulla.

Atreiu: Perché Fantàsia muore?
Gmork: Perché la gente ha rinunciato a sperare. E dimentica i propri sogni. Così il Nulla dilaga.
Atreiu: Ma che cos'è questo NULLA?
Gmork: È il vuoto che ci circonda. È la disperazione degli uomini che distrugge il mondo. E io ho fatto in modo di aiutarlo.

Atreiu: Ma perché!?
Gmork: Perché è più facile dominare chi non crede in niente ed è questo il modo più sicuro di conquistare il potere.


Questo scambio di battute è di una grandezza disarmante.
Non ho trovato altro modo contemplarlo, se non quello di riportarlo per intero. Qui il film tocca l'apice, e le filosofie alla base del romanzo di Ende raggiungono il loro Gotha.
La fantasia come unica arma di lotta, la creatività e i sogni come sola linfa vitale. Il mondo muore perché la gente ha smesso di sognare. Non è una morte metaforica o pleonastica, è una morte fisica. Il Nulla è una distruzione progressiva, un buco nero che ingloba ogni cosa.
Concetti così generali da potersi applicare a qualsiasi cosa. In questo periodo (febbraio 2013) siamo, peraltro, in piena campagna elettorale. Cosa c'entra con "La storia infinita"? Forse niente, ma se penso che Gmork dice che "è più facile dominare chi non crede in niente", allora un brivido mi corre lungo la schiena.

Da molti anni voci di corridoio annunnciano un rifacimento di questo film, ma per adesso niente è sicuro. Forse perché la pellicola del 1984 piace a tutti così, con le sue imperfezioni e la sua poesia.
In verità, come accennavo all'inizio, di Storie Infinite ne sono state girate altre due: una risalente al 1990 e un'altra al 1994. Ma questa, come direbbe Michael Ende alla fine di ogni capitolo, “è un’altra storia, e si dovrà raccontare un’altra volta”.




venerdì 25 gennaio 2013

NOTTE BUIA, NIENTE STELLE

Questa recensione la voglio dedicare a “Notte buia, niente stelle” (2010), una raccolta di racconti scritta dal nostro amato, blasonato, premiato, arricchito e bla bla bla… re del brivido, Stephen King. Partiamo dal fatto che questo libro, contrariamente ai precedenti, non è stato tradotto dall’ormai affezionato Tullio Dobner, ma da Wu Ming 1. Particolare, questo, da non trascurare, dato che il libro ci restituisce un King meno prolisso del solito. Più asciutto, più essenziale. Che sia merito dell’autore, del traduttore o di entrambi, non è dato sapere.
Le storie che compongono la raccolta sono quattro, ma non voglio commentarle nell’ordine in cui sono disposte, bensì secondo la mia personale classifica di gradimento.

MAXICAMIONISTA
Tess, scrittrice di gialli, al ritorno da una conferenza, ha un incidente con l’auto. La stazione di servizio più vicina è abbandonata, ma un camionista si offre di aiutarla. Il gigante, però, non è il buon Samaritano, ma uno stupratore e un assassino, che fa scempio del corpo di Tess. Lei, fingendosi morta, lascia che lui l’abbandoni in un canale di scolo, assieme ai cadaveri delle altre vittime. “Maxicamionista” è una storia di vendetta e odio covato, in cui un personaggio femminile magistralmente tratteggiato riuscirà a scoprire gli intrecci e le complicità dietro la violenza che ha subito.
VOTO: 8

LA GIUSTA ESTENSIONE
David, malato di cancro, durante una passeggiata, si imbatte in George Elvid, un venditore ambulante di “estensioni”, che non perde tempo a fargli la sua offerta: sconfiggere il tumore comprando altri quindici anni di vita. Il prezzo, a parte quello monetario, sarà l’obbligo di trasferire a qualcun altro la sua sfortuna. David accetta, designando come vittima della malasorte un suo vicino di casa, verso il quale serba rancore da anni. La storia, che mutua e rielabora l’archetipo di “vendere l’anima al diavolo” (Elvid = Devil), è in realtà una rivisitazione del mito: la contropartita, in questo caso, non è la vita del protagonista, ma quella di qualcun altro. King tratteggia bene il progressivo pentimento di David, il quale assiste impotente alle conseguenze della sua scelta: lo sgretolarsi, progressivo e ineluttabile, della vita del suo vicino di casa.
VOTO: 7,5

1922
L’agricoltore Wilfred, con la complicità del figlio Henry, porta a termine un atto tanto efferato quanto sofferto: uccidere la moglie, a causa di un forte disaccordo legato alla vendita di un terreno. Ma quello che, nelle intenzioni di padre e figlio, doveva essere un “omicidio pulito”, diventa una tragedia sanguinosa, un susseguirsi di macabri imprevisti che tormenteranno la vita di entrambi. Bella l’ambientazione rurale, ottimo lo spunto narrativo dei ratti, azzeccato anche il progressivo “lavorio” di convincimento che il padre esercita sul figlio. Racconto, tuttavia, un po’ lento, con un mordente altalenante. Tutto sommato, buono.
VOTO: 7

UN BEL MATRIMONIO
Darcy, felicemente sposata con Bob, un giorno scopre che nel garage di casa, ben nascosta dietro una parete, c’è una scatola. Questa scatola contiene le prove inconfutabili che il compagno di una vita, Bob, è in realtà il serial killer che da anni terrorizza l’America. Ispirato a un fatto di cronaca vera, il racconto tratta in modo accorto e ponderato un argomento delicato e, in verità, non facile da gestire.
VOTO: 7

Tirando le somme, “Notte buia, niente stelle” è una raccolta di livello notevole. Compararla alle alte due antologie di quattro racconti (“Stagioni diverse” e “Quattro dopo mezzanotte”) è forse errato, sia per diversità di temi sia per il modo in cui sono trattati. In ogni caso, questo libro segna un punto incontestabile a favore di King: il modo in cui sono caratterizzate le donne è sublime. Raramente, nei romanzi del Re, abbiamo assistito a figure femminili così totalizzanti. E, altrettanto di rado, abbiamo letto di personaggi maschili così biechi, subdoli, meschini e negativi. Questo libro, per qualità e impegno, è il segno definitivo della rinascita. Una risalita cominciata con “The dome”, primo tassello di una resurrezione letteraria, maturata dopo qualche anno di libri mediocri e inconsistenti.