martedì 4 dicembre 2012

INTERVISTA A BARBARA BARALDI

Oggi, per la mia rubrica Interviste Anomale, ho il piacere di fare quattro chiacchiere con la dark lady della penna, definita "la regina del thriller gotico italiano": Barbara Baraldi. Ho da poco finito di leggere il suo thriller "Lullaby - La ninna nanna della morte" (Castelvecchi) e quindi mi sembra giusto ripercorrere, assieme a lei, le fasi principali della sua carriera letteraria.

Ciao, Barbara. Benvenuta sul mio blog. Giuri di dire la verità, tutta la verità e nient'altro che la verità?
Non giuro mai, dovrai accontentarti della mia parola.

Mi accontento. Cominciamo con qualche domanda personale. Cosa significa vivere scrivendo? A livello pratico, quali vantaggi e quali svantaggi comporta l'essere una scrittrice di professione?
Ci solo voluti anni prima di poter trasformare il mio sogno nella mia professione, sacrifici e abnegazione. Ho fatto quattro anni senza potermi permettere un giorno di ferie e non era certo facile tornare a casa da una giornata pesante di lavoro, mangiare qualcosa al volo per mettermi subito a scrivere. Dedicavo alla scrittura le notti, le domeniche, albe frenetiche e pause pranzo. Ma per portare a termine un romanzo è necessario tempo e dedizione, oltre che disciplina e passione. Ma come amo dire, per poter realizzare i propri sogni a volte bisogna sanguinare.
Vantaggi? Fare il lavoro che amo. Scrivere fa parte della mia essenza. Svantaggi? Tanti sacrifici, e nessuna certezza.

Ti senti di dover ringraziare qualcuno per il successo che stai avendo? A parte il tuo talento e un pizzico di fortuna (che non deve mancare mai), c'è stato qualcuno in particolare che ti ha aiutata o incoraggiata in questo percorso?
Sicuramente la mia famiglia mi ha sempre incoraggiata, ma la forza di volontà è l'arma più preziosa che mi ha spronato in questo cammino.

Va bene, ora passiamo alle tue opere. Qualche mese fa ho finito di leggere il tuo secondo romanzo, "La collezionista di sogni infranti". Mi è piaciuto molto, perché è una sorta di noir psicologico che ruota intorno al rapporto tra due ragazze. Ci vuoi parlare di questo libro e del tuo rapporto con Perdisa Pop, il tuo editore di allora?


È un romanzo a cui sono molto legata e che contiene una riflessione sulla rete e su come sia facile perdere l'identità quando la vita virtuale diventa più appagante di quella reale. Mi sono trovata molto bene con Perdisa, al punto che l'anno seguente è uscito il seguito della Collezionista: "La casa di Amelia".

Bene. Procediamo secondo l'ordine delle mie letture, anche se sono un po' a casaccio. Posso dire che, forse, il tuo libro che ho apprezzato di più è "Bambole pericolose", pubblicato dal Giallo Mondadori nel 2010. Un romanzo complesso, forse una delle tue opere più lunghe, un thriller che si dipana in una Bologna gotica, segreta, fatta di combattimenti e riti sessuali. Ho apprezzato sia la protagonista femminile, Eva, che Franco, il suo allenatore. Vuoi dirci qualcosa sulla nascita di questo romanzo e sul tuo approdo al Giallo Mondadori?
Nel 2007 ho vinto il Gran Giallo città di Cattolica, e l'ambito premio era la pubblicazione del racconto vincitore nel Giallo Mondadori. L'editor di allora rimase molto colpito dal mio racconto e mi chiese se avevo un romanzo pronto da fargli leggere. E io, che continuavo a credere nel mio sogno, un romanzo nel cassetto ce l'avevo eccome, già revisionato. All'editor il romanzo piacque e nel 2008 "La bambola dagli occhi di cristallo" uscì nel Giallo Mondadori. "Bambole pericolose" è il suo seguito. La Bambola è nata in un periodo in cui Bologna era balzata alla cronaca per continui casi di violenza nei confronti delle donne, così ho inventato il personaggio della killer fatale, una sorta di giustiziere della notte in gonnella che pulisce le strade dalla criminalità.

Complimenti! Sviscerare i momenti salienti della tua carriera è molto interessante, come credo sia per ogni personaggio noto che fa dell'arte il suo pane quotidiano. Bene, abbiamo passato al setaccio alcuni aspetti della Barbara Baraldi gotica. Ora passiamo all'altro versante, quello urban fantasy. Sta spopolando, in libreria, la tua saga di Scarlett (Mondadori), di cui sono usciti i primi due capitoli. Vuoi dirci qualcosa in merito a questo personaggio e a questa trilogia, a metà strada tra una storia di formazione e un fantasy? Romanzi, questi, apparentemente molto lontani dai tuoi risvolti gotici e thriller...
In realtà la serie Scarlett raccoglie le atmosfere gotiche e thriller dei miei romanzi precedenti, al punto che nel primo volume c'è un omicidio e la relativa indagine della protagonista. Scarlett è una ragazza di oggi, con problematiche legate all'età e alla crescita. Alla trama classica da romanzo di formazione si unisce quella dark fantasy con l'incursione del soprannaturale a sconvolgere la sua vita e gli equilibri. E naturalmente l'amore. Un amore impossibile, un sentimento assoluto e devastante, quanto pericoloso.

Romanzi e racconti a parte, di recente ti sei anche affacciata al mondo del fumetto. Prima con la graphic novel "Bloodymilla" (Delos Books) e poi, addirittura, con un episodio per Dylan Dog, il fumetto italiano più famoso nel mondo. La tua storia, "Il bottone di madreperla", inserita nel Dylan Dog Color Fest di agosto 2012, ha riscosso un notevole apprezzamento, sia presso i tuoi fan che presso i fedelissimi dell'indagatore dell'incubo. Ci spieghi come e quando è nato il tuo amore per il fumetto? E com'è nata l'idea de "Il bottone di madreperla"?
Il mio amore per i fumetti viene da lontano, da quando ero soltanto una bambina e in soffitta a casa dei miei, ho trovato la collezione di Alan Ford di mio padre. Con le nuvole parlanti, è stato amore a prima vista. Ho cominciato a raccontare storie molto prima di decidermi a scriverle. E spesso scaturivano da sogni, o visioni, che immaginavo… a fumetti. Non l’ho mai confessato a nessuno, ma mi è capitato di sognare di essere la protagonista di un manga, in cui tutto era disegnato proprio come un manga! Insomma, ero ossessionata dalla fusione tra parole e disegni. E così, da lettrice, sono diventata sceneggiatrice. Sono fan dell'Indagatore dell'Incubo e avrei sempre sognato di scrivere una storia per lui. "Il bottone di madreperla" riprende tutte le tematiche che mi sono care come la memoria e l'amore vero che sopravvive alla morte. È una storia intrisa di romanticismo profondo, proprio come romantico è il personaggio creato da Sclavi.

Bene, Barbara. Siamo giunti alla fine dell'intervista. L'ultima domanda che voglio porti riguarda non tanto il tuo profilo da autrice, quanto quello da lettrice. Fammi i nomi dei tuoi autori di riferimento, che ami di più o che abbiano, in qualche modo, influenzato il tuo modo di affrontare l'arte dello scrivere.


Ci sono vari scrittori che amo e hanno influenzato il mio immaginario. Da Marguerite Duras, a Hermann Hesse. Adoro Palahniuk, Fante, Bunker e King. Poe e Lovecraft hanno affollato la mia mente con i loro mondi immaginari e onirici.
Dalla fantascienza cito con piacere Hinz e Herbert. Non dimentico Eugenides, Pennac e Izzo. Ops, potrei andare avanti all'infinito.



Grazie mille, dark lady (inchino). Sei stata gentilissima. In bocca al lupo per tutti i tuoi progetti. Ciao!
Figurati, è stato un piacere.






sabato 17 novembre 2012

"Cose liquide" su Skan Magazine n.3



SCARICA SKAN MAGAZINE N.3
È uscito il numero 3 della rivista Skan Magazine. Tante cose interessanti su questo numero: i racconti dello “Skannatoio 5 e mezzo”. I concorrenti di questo concorso dovevano cimentarsi con un tema tanto interessante quanto difficile: racconti ispirati agli eroi e alle eroine della tradizione omerica. Poi c’è lo speciale di Giorgio Sangiorgi sul fantastico mondo di “Mahayavan”, gioco di ruolo per scrittori, indetto da Edizioni Scudo. La rubrica “Oltre lo Skannatoio” è dedicata ai concorsi “Minuti Contati” (per le penne più veloci del web) e USAM (Una Storia al Mese). Ci sono tante altre belle cose e, ultimo ma non ultimo, ci sono io. 
A pagina 53 della rivista potete trovare la notizia relativa all’apertura del mio blog e, a pagina 54, il mio racconto “Cose liquide”. Un brevissimo noir, di cui vi anticipo l’incipit…


 COSE LIQUIDE

Io a mia mamma ci volevo tanto bene.
Lei era sempre tanto buonissima con me.Un sacco di volte veniva pure a scuola per fare le cazziate ai genitori di quegli scemi che mi chiamavano di tutte le maniere: scimunito, andicappato, povero dio, mento di vecchio.

Una volta, sapete, la sentii che piangeva, perché aveva saputo che quel chiattone del bidello aveva detto che puzzavo come un cesso.
Ma io glielo ripetevo sempre: mamma, non piangere. Tanto sono abituato a essere trattato a pesci in faccia. E poi chi li pensa a quelli là!
Però lei ci stava molto male, perché mi voleva bene e ci teneva a me. E poi, povera mamma, teneva sempre il mal di testa. Si toccava le tempie con la mano e diceva un sacco di cose arrabbiate.
Quando se la prendeva con chi mi sfotteva, sembrava una di quelle tigri che ho sempre visto a quarch, in televisione, che ruggivano e graffiavano per difendere i tigrotti belli.
Da quando papà se ne andò in paradiso, mamma diventò una tigre, e forse pensava pure che io ero il suo tigrotto.






mercoledì 14 novembre 2012

INTERVISTA A CARLO PARRI



Oggi, per la mia rubrica Interviste Anomale, ho il piacere di fare quattro chiacchiere con Carlo Parri, vincitore del premio Alberto Tedeschi 2012 con il romanzo "Il metodo Cardosa" (Giallo Mondadori). Si tratta di un romanzo avvincente, anomalo, provocatorio, nel quale l'indagine poliziesca e la trama gialla quasi scompaiono di fronte al protagonista, Cardosa: vicequestore aggiunto, lettore compulsivo-ossessivo e sciupafemmine, mente brillante ma anche incomprensibile, citazionista delirante e amante inguaribile della spesa al mercato.



Ciao Carlo, benvenuto tra le pagine della mia rubrica. Giuri di dire la verità, tutta la verità e nient'altro che la verità?
Conosco solo false verità e menzogne reali. Posso offrirti solo il gioco delle tre carte. Ti va bene?


Mi va benissimo. L'importante è che io non vinca mai, altrimenti non ci sarebbe sfizio. Io scelgo la carta dell'emotività: cosa si prova a vincere il concorso Alberto Tedeschi, il più importante riconoscimento italiano per romanzi gialli inediti?
Più che altro mi sono chiesto cosa avrei provato se non avessi vinto. In ogni caso non è successo. Meglio così. Parlare di vittoria mi imbarazza. Cardosa a questo punto citerebbe Sartre. “Una vittoria descritta nei particolari, non si sa più cosa la distingue da una sconfitta.” Io, nel mio piccolo, sposo il pensiero di Winston Churchill. “I problemi della vittoria sono più gradevoli di quelli della sconfitta, ma non meno difficili da risolvere.”
C’è stato un momento, in questa storia, che mi ha lasciato dentro un’emozione indelebile. La mattina che ha squillato il telefono e la voce di Franco Forte mi ha detto semplicemente “Lei è il vincitore del premio Tedeschi”. Ero da solo e quando ho riattaccato, non nego di aver fatto un po’ la marionetta in giro per casa. Da lì in poi è cominciato un percorso obbligato. Revisione, editing, promozione, interviste, inviti, progetti. Soprattutto mi sono sentito quasi in dovere di chiudere il secondo Cardosa e iniziare il terzo. Vincere il Tedeschi è anche questo.


Attenzione. Ci hai detto una cosa che, forse mi sbaglio, ma credo di non aver letto altrove. "Chiudere il secondo Cardosa e iniziare il terzo". Facciamo finta di non aver sentito o vuoi spiegarci per bene?
Desolato, ma non è uno scoop. L'ho dichiarato in un'intervista televisiva già a fine agosto. Il secondo libro è già pronto da qualche tempo e il terzo è in lavorazione. Anzi i terzi, perché ne sto scrivendo tre contemporaneamente e non ho ancora deciso a quale dare il numero tre.

Bene, stai dando una gioia ai fan di Cardosa. E ora passiamo a lui, vicequestore aggiunto Leonardo Cardosa, il personaggio attorno al quale ruota buona parte del romanzo. Lui è: dotato di due cervelli, forte di una cultura letteraria sovrumana e infine sciupafemmine. Quali di queste caratteristiche sono autobiografiche e quali inventate? In altri termini: anche tu hai due cervelli? Anche tu parli per citazioni? Anche tu ti destreggi tra più donne?
Più che altro il mio doppio si sviluppa con un eteronimo. Si chiama Fernando Pellizzo. Lui è uno sciupafemmine io, al massimo, potrei esserlo stato, tanti anni fa, ormai... Le citazioni, soprattutto quelle cinematografiche, le uso spesso. Naturalmente decontestualizzate, di valore semantico soggettivo e unicamente emotivo. Caratteristiche autobiografiche o inventate dici. Ma io fin da bambino ho inventato la mia biografia. Ho persino già descritto il mio funerale. Non c'è assolutamente niente di vero in me. Io stesso sono un'invenzione.

Eteronimi... vite inventate... Sei un lettore di Pessoa? Qual è il tuo Libro dell'Inquietudine?
Sono un ri-lettore di Pessoa e dei suoi eteronimi, ma anche un appassionato ri-lettore di Tabucchi. I libri dell'inquietudine sono infiniti, perché infiniti sono i libri che non potrò leggere. Ogni libro che non riuscirò a leggere sarà uno di questi.

Mi piace questa risposta. Diciamo che la condivido appieno. Ultima domanda, ovviamente anomala. Solitamente si chiede a uno scrittore quali consigli dare un esordiente per farsi notare nel mondo editoriale. Bene, io ti chiedo:cosa suggerisci a un esordiente per non farsi notare nell'editoria che conta? Particolari mosse per perdere il Tedeschi?
Ti dirò, quando mi fanno la domanda canonica, quale consiglio dare a chi vuol tentare la scrittura, offro sempre la risposta alla tua domanda. Consiglio di non farlo, che è anche il sistema migliore per non farsi notare. Perdere il Tedeschi è facilissimo, credo che non serva un grande impegno. Arrivano mille romanzi, ne vince solo uno, più facile di così. Battute a parte, per non farsi notare, per essere inesorabilmente cestinati a ogni tentativo, c'è un sistema sicuro. Leggere poco e quel poco sbagliato. Io una mano sto cercando (nel mio piccolo) di offrirla. Ogni giorno tento di promuovere un libro della serie "Se leggi questo di sicuro qualche cosa impari." Ma lo leggeranno?


Ne dubito, Carlo. Sappi che solo il 15% di italiani dichiara di aver letto fino a 12 libri in 12 mesi (i cosiddetti lettori forti), mentre oltre il 50% di aspiranti scrittori legge meno di un libro all'anno. Ma lasciamo stare, questo è un altro discorso. L'intervista è finita. Chiama Cardosa (a proposito, dove sta?) e digli di mandare un saluto ai nostri lettori.
 Sì, purtroppo le conosco le statistiche... e io, tra l'altro, partecipo a falsificare la media con una media di centoventi libri per anno solare. Vediamo un po' se riesco a connettermi con Leonardo...
Leo, ci sei? Eccolo qua.
"Scusate amici, ma oggi piove e Roma è un caos più caos di sempre. Sono al mercato e ho poco tempo per voi, ma so che Parri ha finito una storia che mi riguarda, roba successa l'anno scorso, e penso che presto ci ritroveremo. Buona spesa a tutti."

Mitico. Ciao Carlo, e grazie mille per questa bella intervista.



martedì 6 novembre 2012

IL CONFINE DELLA PERFEZIONE

Oggi voglio segnalare il primo fumetto di un mio amico, Carlo Vicenzi. Si tratta di un esperimento interessante sotto vari profili. Anzitutto, è gratis, il che non guasta mai. In secondo luogo, la storia è ambientata in un futuro distopico oscillante tra impero delle macchine e fanatismo religioso. In terzo luogo, i disegni sono spettacolari.
Il progetto alla base di questo fumetto, e di altri simili, è molto ammirevole, in quanto il sito MANICOMIX, nuova piattaforma digitale dedicata al fumetto, offre a tutti i lettori la possibilità di leggere albi e graphic novel in maniera gratuita e veloce. Non solo.

Il sito è anche dedicato al talent scout, ossia alla ricerca continua di collaboratori validi: disegnatori, sceneggiatori e soggettisti. E' sufficiente proporre la propria candidatura con un progetto e sperare che il sito lo ritenga valido, così come ha fatto per il nostro Carlo Vicenzi con il suo "Il confine della perfezione".



Non mi resta, quindi, che rimandarvi alla lettura di questo bel fumetto, un albo di appena 14 tavole che, nonostante sia stato scritto da un esordiente del campo, rappresenta un esperimento di tutto rispetto nel mondo dei comics sci-fi. Un'ambientazione cupa, dai colori forti e penetranti (merito del bravissimo disegnatore Massimiliano Veltri), che ci catapulta in un mondo dove impera la volontà del dio macchina. In un mondo, in cui viene imposta una perfezione artefatta, eppure lucida: sostituire gli organi interni del corpo umano, imperfetti e caduchi, con metallo freddo, indistruttibile, efficiente. Chi non obbedisce, è un eretico.

Su questo sfondo fantascientifico, che mi ha ricordato suggestioni derivanti da film come "Matrix", "Johnny Mnemonic", "Terminator" e "Io, robot", si consuma un inseguimento che conduce il lettore verso l'unica possibile conclusione ragionevole.

Agli amanti dei fumetti, consiglio di leggere questo albo e tutti quelli che il sito mette a disposizione gratuitamente: non è cosa da tutti offrire fumetti di qualità senza pretendere un soldo.
Agli aspiranti soggettisti, sceneggiatori e disegnatori, suggerisco di rimboccarsi le maniche per proporre qualcosa di valido.


giovedì 1 novembre 2012

INTERVISTA A SILVIA ROBUTTI

Quest’oggi apro la rubrica Interviste Anomale, e ho il piacere di fare quattro chiacchiere con Silvia Robutti. Ventisette anni, medico veterinario, Silvia vive a Torino col suo gatto (naturalmente nero) e ama, in rigoroso ordine alfabetico: gli animali, la scrittura e i viaggi. "La maledizione della fiamma" è il suo primo romanzo pubblicato, e ha vinto il prestigioso Premio Odissea.


D. Ciao Silvia, benvenuta sul mio blog. Ho appena finito di leggere il tuo romanzo, "La maledizione della fiamma", quindi mi sembra giusto ospitarti come prima autrice per la mia rubrica "Interviste Anomale". Giuri di dire la verità, tutta la verità e nient'altro che la verità?
S. Sul signore degli anelli, io lo giuro (ah, ah, ah!)

D. Okay, cominciamo con una domanda inutile. Cosa stavi facendo prima che ti intervistassi?
S. La detartrati a un cane!

D. Mmm... è un esperimento di magia nera o fai la veterinaria?
S. La seconda... La magia nera solo nel tempo libero!

D. E allora parliamo del tempo libero. Il mio, ultimamente, l'ho impiegato leggendo il tuo libro, "La maledizione della fiamma". Mi ha emozionato e mi ha avvinto, quindi direi che è stato tempo ben speso. Tu quanto "tempo libero" hai impiegato a scriverlo?
S. Parecchio... ci ho messo circa un anno a scriverlo e dieci lunghi secoli (o almeno così mi sembra di ricordare) a ricorreggerlo!

D. Caspita, quindi hai iniziato intorno all'anno Mille a scriverlo? Però! E per le correzioni e le revisioni: ti ha aiutato qualcuno (un amico, un editor) oppure hai fatto tutto da sola?
S.Di solito stampo una prima versione, la leggo su carta e mi appunto le modifiche che ritengo necessarie. Stampo poi tre copie della versione ricorretta e le faccio girare tra gli amici. Inoltre mando il file alla lettura incrociata del rifugio degli esordienti. Ammetto però che la seconda versione rimane poi pressoché immutabile (salvo per i centigliardi di errori di battitura, gli strafalcioni dall'inglese, e altri disguidi tecnici).

D. Vedo che sei abbastanza puntigliosa e, immagino, severa con te stessa. D'altronde non si vince un premio di questa portata senza rigore e disciplina nella scrittura. Veniamo al romanzo. La protagonista, Azoleen, è una sfigata colossale, ma ha una tale forza dentro, che provare empatia è quasi automatico. Parlaci di lei.
 S. Bhe... lei è la protagonista di un libro fantasy, per tanto è una chiavica iellata ed egocentrica come tutti loro sono sempre (o quasi). All'inizio non mi stava molto simpatica, soprattutto per la carenza di senso dell'umorismo che la contraddistingue, ma effettivamente alla lunga stimola empatia, mi ci sono affezionata parecchio e non scriverle un seguito è stata dura.

D. Perché non scrivere un seguito? Hai già escluso la possibilità di una "Maledizione della fiamma 2"?
S. Beh, non vorrei rovinare tutto! E poi ora credo che sia passato troppo tempo per riprendere in mano la storia.

D. Va bene, allora torniamo al premio. Dicci come e quando hai saputo di ver vinto. E cosa hai provato in quel momento.
S. Ho aperto la mail il primo giorno di rientro sul lavoro da un viaggio in Australia, ho dovuto rileggerla tre volte per accertarmi che non si trattasse di un'allucinazione da jet lag, dopo di che ho cacciato un urlo istrerico e ho cominciato a saltellare qua e la terrorizzando la collega che continuava a chiedermi cosa fosse successo. Ero soprattutto stupefatta, perché mi ero convinta di aver perso.

D. Perché ti eri convinta di aver perso (recte: non aver vinto)?
S. Beh... al Salone del libro di Torino avevo incontrato Silvio Sosio, della Delos e, senza per altro presentarmi, gli avevo fatto un paio di domande sul concorso. Silvio aveva giustamente risposto in maniera evasiva, ma io ne avevo comunque dedotto di non aver vinto... Probabilmente per non dover guastare con un a bella speranza un periodo altrimenti perfettamente orribile.

D. Be, diciamo che hai avuto una piacevole sorpresa. Meritata, confermo. Il tuo libro è avvincente e appassionante, e non si rifà a molti cliché in voga in questo momento. Anzi, direi che ha un'impostazione originale pur innestandosi su uno sfondo classico, quasi epico. Come ti sono sembrate, fino a ora, le risposte dei lettori?
S. Beh, sembra che piaccia... anche se, a parte quelli dei conoscenti, ho poco modo di raccogliere commenti.

D. A un certo puntp del tuo libro c'è una frase che mi ha fatto sbellicare. Azoleen, rivolgendosi alla caceriera della prigione, dice: "E lei se la sente di infilarsi in quel posto la doppia razione insieme a tutta la dannata redenzione?" Ecco. Questo è il più bel vaffanculo che io abbia mai letto in un fantasy. Se dovessi dedicare questa frase a qualcuno, a chi la dedicheresti? Mi devi fare almeno tre nome, di persone esistenti o personaggi inventati, che manderesti a quel paese...
S. Beh, certamente una prof del liceo e un'ex capa cui la signora Knet è deliberatamente ispirata sono le candidate migliori. Riguardo a personaggi inventati credo che Dolores Umbridge (quella di Harry Potter) sia perfetta.

D. Nel romanzo trova spazio anche una storia d'amore. Quella tra lei, protagonista, e Ehyl, un ragazzo irriverente, simpatico e giocherellone. Ti sei ispirata a qualcuno? Magari una tua vecchia storia, il tuo ragazzo (attuale o passato) o niente di così romantico?
S. Ehyl è un misto di ricordi, desideri, premonizioni e necessità di controbilanciare una protagonista parecchio pesantella! Gli sono molto affezionata!

D. Bene, grazie infinite. L'intervista anomala è finita. Ti è piaciuta? Se rispondi di sì, non la pubblico...
S. Ma come? certo che mi è piaciuta... la più divertente mai fatta (con questa ne ho fatte tre )!

D. Ma scusa, dovevi dire di no! Vabbè, pazienza, sono costretto a pubblicarla lo stesso. Grazie, Silvia. Complimenti per il tuo romanzo e in bocca al lupo per i tuoi progetti futuri.
S. Grazie mille, mi sono davvero divertita! 

venerdì 26 ottobre 2012

IL CIGNO NERO

Il primo film di cui voglio parlare, nell’ambito della rubrica Recensioni Positive, è “Il cigno nero” (2010). Partiamo da una premessa: usare una passione artistica o sportiva in una pellicola impegnata nell’introspezione psicologica non è facile.
Molti esperimenti cinematografici, più o meno riusciti, hanno portato le produzioni Hollywoodiane a capire quali sono i settori artistico/sportivi in cui un film impegnato può funzionare o meno. Pensiamo al pugilato, settore nel quale ha imperato per anni la saga di “Rocky”. Poche sono state, in questo ambito, le pellicole di un certo spessore (su tutti, “Toro Scatenato”). Oppure pensiamo al calcio, terreno fertile per film assolutamente mediocri e standardizzati, dai quali si distinguono solo pochi esperimenti (come “Fuga per la vittoria”). E infine citiamo la danza, settore che negli scorsi decenni ha portato a sfornare una serie di film tutti uguali, tutti banali. Pellicole che girano intorno allo stesso schema narrativo praticamente all’infinito, condendo con spezie diverse una minestra sempre uguale, riscaldata, stantia.
Ma è proprio nell’universo del balletto, frequentato poco e male dal cinema, che è ambientato “Il cigno nero”, piccolo gioiello di regia e recitazione che si solleva dal piattume imperante di pellicole siamesi.
Il regista del film usa la danza come strumento per veicolare le emozioni dello spettatore in un torbido viaggio nella psiche di una ballerina. E la ballerina, in questo caso, è una stratosferica Natalie Portman, che per questa interpretazione si porta a casa un Oscar come miglior attrice protagonista.
Il "lago dei cigni", in questo film, non è un balletto, ma un'idea, una faida tra il cigno bianco e il cigno nero. La separazione manichea del nostro lato buono da quello cattivo trova consacrazione in una danza struggente e perfetta. Stephen King la chiamerebbe "metà oscura", George Lucas parlerebbe di "lato chiaro" e "lato oscuro" della Forza. Il concetto è uno solo: la dualità.
E questa dualità trova magnificenza in Natalie Portman, ballerina insicura e autolesionista, soffocata da una madre in perenne apprensione. Natalie Portman come Giano bifronte, come un Caronte che ci traghetta, lentamente, sulla sponda della pazzia. "Black Swan" è la discesa in un inferno allucinante, generato e contaminato da una fame spasmodica, quella diretta all'affermazione di sé. Vincent Cassel interpreta il direttore artistico Leroy, che fa di tutto per spronare la ballerina protagonista a esprimere le proprie potenzialità, a liquefarsi da cigno bianco per ricostruirsi come cigno nero. Ma lui non sa, o forse ha dimenticato, quali potenze negative può scatenare il continuo stupro mentale. Lui non sa, o forse ha dimenticato, quanto possa essere allettante abbandonarsi al proprio lato oscuro.

Il film ha ricevuto molte critiche negative, in quanto dipingerebbe un quadro esasperato e poco veritiero della danza. In parte è vero: a volte Darren Aronofsky, il regista, esagera, muovendosi pericolosamente lungo lo spartiacque che separa il thriller dall'horror. E lo fa soprattutto là dove ha gioco facile, passeggiando su un terreno foriero di ambiguità e scoperte al cardiopalma, come può essere quello dell'alienazione mentale. Nonostante le volute esagerazioni della pellicola, le scene si affastellano in un delirio parossistico, che con sapiente gestione della trama e degli effetti visivi, conduce lo spettatore verso l'unica coerente conclusione.
Film da vedere, non da soli.

VOTO: 8

venerdì 19 ottobre 2012

Recensioni Positive: IL BOIA DI PARIGI



A partire dal 13 ottobre 2012, potete trovare in tutte le edicole “Il boia di Parigi”, il primo albo di una nuova collana editoriale varata dalla Sergio Bonelli Editore: Le Storie.



Fantasia e fumetti d'autore, ricerca storica e introspezione psicologica. È questo il cuore di questa nuova avventura editoriale: dare ai migliori sceneggiatori e disegnatori italiani carta bianca, per poter esprimere, in albi da 114 tavole, tutta la loro creatività, spaziando dallo storico all’avventuroso, dal fantasy al thriller.

E l’onere di inaugurare questo nuovo esperimento tocca alla eclettica Paola Barbato, sceneggiatrice e scrittrice di fama, che ci sorprende con un bellissimo e cupo affresco storico. “Il boia di Parigi” è un tuffo nel cuore della rivoluzione francese, un’indagine acuta e disillusa su un evento che ha cambiato le sorti dell’Europa, e forse del mondo. Ma l’originalità del fumetto sta soprattutto nel punto di vista da cui osserviamo il dispiegarsi della rivoluzione: gli occhi sono quelli di Charles-Henri Sanson (1739-1806), il boia.

Sulla vita di questo dispensatore di morte si sa, al contempo, molto e molto poco: talune delle fonti giunte fino a noi sono state giudicate, nel corso degli anni, poco attendibili. Ed è in questi buchi narrativi lasciati dalla Storia che Paola Barbato scrive la sua storia. Il fumetto striscia negli interstizi lasciati vuoti dalle testimonianze, per offrirci il triste ritratto di chi, per mestiere, è costretto al ripetersi quotidiano del gesto estremo: uccidere.
Ma il personaggio che ci viene restituito da “Il boia di Parigi”, attraverso le parole della Barbato e i suggestivi disegni di Giampiero Casertano, non è quello di un sanguinario assassino, ma di un dignitoso curatore di anime. Un araldo della Morte, fermo nelle sue intenzioni e irremovibile nel suo compito: quello di conservare, intatte, l’umanità e la dignità di chi sta per morire, per quanto attorno a lui la folla inferocita possa esigere il proprio tributo di sangue.

VOTO: 8,5

giovedì 4 ottobre 2012

È uscito Knife 5

Io l'ho acquistato cartaceo, perché quando leggo che all'interno ci sono due storie a fumetti, un articolo su "Watchmen" e uno speciale sull'ultimo romanzo ispirato a Batman... be', bando alla modernità, io non lo scarico, ma lo compro in formato vecchio stampo. E voi?

Dal sito di Nero Cafè:
È ufficiale.
Il nuovo numero di Knife è online.
Abbiamo già detto che in questo numero troverete uno speciale dedicato al mondo dei fumetti, con due storie illustrate, una ideata da Stefano Fantelli, l’altra da Gianfranco Staltari. Che Craig Clevenger, autore de Il manuale del contorsionista e Dermaphoria, si è concesso alle domande di Luigi Bonaro, sviscerando se stesso fino a svelare la propria genesi come autore. Che abbiamo, tra i racconti, una chicca a firma Ambrose Bierce, tradotta da Armando Rotondi e una perla di Alda Teodorani. Che la cover è stata realizzata da Enzo Rizzi (di cui trovate anche un’imperdibile intervista).

SCARICA GRATIS KNIFE 5  oppure acquistalo cartaceo QUI